mercoledì 24 giugno 2009

Charles Bukowski - Figlio del Demonio

(dalla raccolta "Niente canzoni d'amore")

Io avevo undici anni, e i miei due compagni, Hass e Morgan, ne avevano dodici tutti e due, ed era estate, niente scuola, noi ce ne stavamo al sole seduti sull'erba dietro al garage di mio padre a fumare sigarette.
«Merda,» dissi io.
Io stavo seduto sotto un albero. Morgan e Hass avevano la schiena appoggiata al muro del garage.
«Che hai?» chiese Morgan.
«Bisogna che lo sistemiamo, quel figlio di puttana,» dissi. «è una vergogna per tutto il quartiere!»
«Chi?» chiese Hass.
«Simpson,» dissi io.
«Ah, sì,» disse Hass «troppe lentiggini. Mi fa incazzare.»
«Non è questo,» dissi io.
«Ah no?» disse Morgan.
«Già. Quel figlio di puttana si è messo a dire che la settimana scorsa si è scopato una ragazza sotto casa mia. è una bugia! Una sporca menzogna del cazzo!» dissi io.
«Certo che è una menzogna,» disse Hass.
«Ma se quello manco è buono, a scopare,» disse Morgan.
«Però a dire cazzate è buono,» dissi io.
«A me i bugiardi non piacciono per niente,» disse Hass, facendo un anello di fumo.
«A me non piace quando uno con tutte quelle lentiggini si mette a dire queste cazzate,» disse Morgan.
«Beh, allora magari è meglio se gli diamo una regolata,» suggerii.
«Perché no?» chiese Hass.
«Andiamo,» disse Morgan.
Entrammo nel vialetto di Simpson e lui stava lì e giocava a far rimbalzare una palla contro la porta del garage.
«Ehi,» dissi « guarda chi c'è che gioca solo soletto!»
Simpson aspettò il rimbalzo, acchiappò la palla, e si voltò verso di noi.
«Ciao, ragazzi!»
Noi lo circondammo.
«Ti sei fatto qualche ragazza sotto casa di qualcuno, uno di questi giorni?» chiese Morgan.
«Mah!»
«E come mai?» chiese Hass.
«Uh, boh.»
«Per me tu al massimo ti sei fatto una sega,» dissi io.
«Adesso devo andare dentro,» disse Simpson. «Mia madre mi ha detto di lavare i piatti.»
«Tua madre i piatti se li sbatte su per la fica,» disse Morgan.
Noi ridemmo. Ci facemmo sotto, proprio addosso a Simpson.
Di colpo io gli mollai un destro, con forza, alla pancia.
Lui si piegò in due, tenendosi il ventre. Restò in quel modo per mezzo minuto, poi si rimise dritto.
«Mio papà sta per tornare a casa, sarà qui da un momento all'altro,» ci disse.
«Ah sì? E tuo papà, se le scopa anche lui le ragazzine sotto le case degli altri?» chiesi io.
«No.»
Noi ridemmo.
Simpson non disse nulla.
«Guarda le sue lentiggini,» disse Morgan. «Ogni volta che lui si scopa un'altra ragazza sotto la casa di qualcuno gliene spunta fuori un'altra.»
Simpson non disse nulla. Ma si vedeva che era sempre più terrorizzato.
«Io ho una sorella,»disse Hass. «Come faccio a sapere che tu non cercherai di farti anche lei, sotto una casa di queste?»
«No, Hass, non lo farò mai, te lo prometto, hai la mia parola!»
«Ah sì?»
«Sì, davvero, dico sul serio!»
«Beh, questo è per essere sicuro che non te ne scordi!»
Hass gli mollò un destro alla pancia, con forza. Simpson si piegò in due un'altra volta. Hass si chinò, prese da terra una manciata di sporcizia, e la cacciò giù per il collo della camicia di Simpson. Simpson si raddrizzò.
Aveva le lacrime agli occhi. Una femminuccia.
«Ragazzi, vi prego, lasciatemi andare!»
«Andare dove?» domandai. «Vuoi andare dalla mamma a nasconderti sotto la sua gonna in mezzo ai piatti che le cadono dalla fica?»
«Tu non ti sei mai scopato niente e nessuno,» disse Morgan. «Figurati! Tu manco ce l'hai, l'uccello! A te la piscia ti esce dalle orecchie!»
«Fa' che ti becchi soltanto a guardarla, mia sorella,» disse Hass «e ti do tanti di quei cazzottoni che ti faccio diventare tutto una lentiggine!»
«Lasciatemi andare, dài, per favore!»
Un po' mi veniva da lasciarlo andare. Magari non se n'era mai scopata nessuna. Magari era stato solo un sogno ad occhi aperti. Solo che io ero il leader, giovane e deciso.
Non potevo mostrare simpatia per lui.
«Simpson, tu adesso vieni con noi.»
«No!»
«No i miei coglioni! Tu vieni con noi! Avanti, march!»
Gli girai attorno e gli mollai un calcione nel didietro.
Lui fece uno strillo.
«Statti zitto!» gridai. «Stattene zitto o sarà peggio per te! E adesso, march!»
Lo portammo via passando dal vialetto di casa sua, attraverso il prato e poi per il vialetto di casa mia, fin dentro il giardino sul retro.
«E ora, sta dritto!» dissi. «Mani sui fianchi! Adesso terremo una corte marziale volante!»
Mi voltai verso Morgan e Hass e dissi: «Tutti coloro che ritengono quest'uomo colpevole di aver mentito dicendo che si è scopato una ragazza sotto casa mia dicano "colpevole"!»
«Colpevole,» disse Hass.
«Colpevole,» disse Morgan.
«Colpevole,» dissi io.
Mi voltai verso il prigioniero.
«Simpson, lei è stato riconosciuto colpevole!»
Le lacrime a questo punto si erano messe a uscire per davvero.
«Io non ho fatto niente,» singhiozzò.
«è proprio questa la tua colpa,» disse Hass. «Una sporca menzogna!»
«Ma voi altri state a dire bugie tutto il tempo!»
«Non sulle scopate,» disse Morgan.
«Ma se è la cosa su cui ne dite di più, di bugie! è da voi che ho imparato!»
«Caporale,» mi voltai verso Hass «imbavagliate il prigioniero! Sono stufo delle sue fottute menzogne!»
«Signorsì!»
Hass corse fino ai panni stesi ad asciugare e trovò un fazzoletto e uno strofinaccio da cucina. Mentre noi tenevamo fermo Simpson lui gli ficcò il fazzoletto fra i denti e poi gli legò lo strofinaccio sulla bocca. Simpson emise dei suoni strozzati, e cambiò colore.
«Ce la fa a respirare, secondo te?» chiese Morgan.
Basta che respiri dal naso,» dissi io.
«Sì,» assentì Hass.
«E adesso cosa facciamo?» chiese Morgan.
«Il prigioniero è colpevole, no?» chiesi io.
«Certo.»
«Bene, allora nella mia qualità di giudice io lo condanno a essere appeso per il collo fino a che morte non ne consegua!»
Simpson emise dei suoni da sotto il bavaglio. I suoi occhi ci guardavano, supplichevoli. Io andai nel garage a prendere la corda. Ce n'era un bel pezzo, piuttosto lungo, tutta arrotolato per bene, appeso a un grosso chiodo piantato nel muro del garage. Non avevo idea del perché mio padre tenesse lì quella corda. Non l'aveva mai usata, per quel che ne sapevo io. Fra poco sarebbe venuto il suo turno.
Uscii con la corda.
Simpson si mise a correre. Hass gli fu subito dietro. Si lanciò in un placcaggio volante e lo gettò a terra.
Rovesciò Simpson a faccia in su e cominciò a prenderlo a cazzotti sul muso. Io corsi verso di loro e colpii Hass in faccia, forte, con un capo della corda. Lui smise di picchiarlo. Mi guardò in viso.
«Brutto stronzo, io ti spacco il culo a calci!»
«Il giudice sono io, e la mia sentenza è che quest'uomo deve essere impiccato. Ed è quello che faremo. Lascia andare il prigioniero!»
«Brutto stronzo, sta sicuro che ti spacco il culo a calcioni!»
«Prima penseremo a impiccare il prigioniero! Poi tu e io risolveremo le nostre divergenze!»
«Altro che se le risolveremo!»
«Che il prigioniero si alzi in piedi, adesso!» dissi io.
Hass scivolò di lato e Simpson si alzò. Gli era uscito il sangue dal naso, e gli aveva macchiato il davanti della camicia. Era un rosso molto brillante. Simpson sembrava rassegnato. Aveva smesso di piagnucolare. Ma aveva gli occhi pieni di terrore, era orribile.
«Dammi una sigaretta,» dissi a Morgan.
Lui me ne mise una in bocca.
«Accendila,» dissi.
Morgan accese la sigaretta, e io tirai una boccata, buttai fuori il fumo dal naso tenendo la sigaretta tra le labbra, e intanto feci un nodo scorsoio a uno dei capi della corda.
«Mettete il prigioniero in posizione sulla veranda!» ordinai.
Sul retro c'era una veranda, e al di là di essa sporgeva il tetto. Io lanciai la corda sopra una delle travi e poi tirai giù il cappio davanti al viso di Simpson. Non avevo più nessuna voglia di andare avanti. Simpson aveva sofferto abbastanza, pensavo, ma il capo ero io, e più tardi mi sarebbe toccato fare a botte con Hass, e non potevo permettermi alcun segno di debolezza.
«Forse sarebbe meglio di no,» disse Morgan.
«Quest'uomo è colpevole!» gridai.
«Giusto!» gridò Hass. «Che sia impiccato!»
«Guarda, si è pisciato addosso,» disse Morgan.
Effettivamente, c'era una macchia scura sul davanti dei pantaloni di Simpson, e si stava allargando.
«Cacasotto,» dissi.
Passai il cappio sopra la testa di Simpson. Diedi uno strattone alla corda e Simpson si tirò su sui piedi.
Allora presi l'altro capo della corda e lo legai a un rubinetto che stava su un lato della casa. Tesi bene la corda, feci il nodo, e strillai: «Andiamocene via da questo cazzo di posto!».
Guardammo Simpson, appeso, in punta di piedi. Stava girando piano piano su se stesso, e pareva già morto.
Mi misi a correre. Morgan e Hass corsero con me. Corremmo su per tutto il vialetto, e poi Morgan ci lasciò per tornare a casa, e Hass se ne andò a casa sua. Mi resi conto che io, invece, non avevo nessun posto dove andare.
Hass! pensai. O te lo sei scordato che dovevamo fare a botte, o non ne avevi nessuna voglia.
Rimasi sul marciapiede per circa un minuto, poi tornai di corsa nel giardino dietro casa. Simpson stava ancora girando. Appena, appena, appena. Avevamo dimenticato di legargli le mani. Aveva tirato su le braccia, e cercava di diminuire la pressione sul collo, ma gli scivolavano le mani. Corsi fino al rubinetto, slegai la corda e la mollai. Simpson cadde sulla veranda, e poi rovinò in avanti sopra il prato.
Stava a faccia in giù. Lo girai e gli sciolsi il bavaglio.
Aveva un gran brutto aspetto. A vederlo, poteva anche essere sul punto di morire. Mi chinai su di lui.
«Ascoltami, brutto figlio di un cane, non crepare, io non volevo ammazzarti, davvero. Se muori, mi dispiace. Ma se tu non crepi, e vai a dire una parola a qualcuno, allora stai sicuro che sei uno stronzo morto. Hai capito bene quello che ho detto?»
Simpson non rispose. Mi guardò e basta. Aveva un aspetto tremendo. Il viso era color porpora, e aveva i segni della corda sul collo.
Mi alzai. Lo guardai per un po'. Lui non si mosse. Aveva un brutto aspetto. Mi sentii mancare. Poi mi ripresi. Feci un respiro profondo e me ne andai via per il vialetto.
Erano più o meno le quattro del pomeriggio. Mi misi a camminare. Scesi giù per il viale e poi continuai a camminare. Pensavo. Mi sentivo come se la mia vita fosse finita. Simpson era sempre stato un tipo solitario. E probabilmente si sentiva solo. Non si mischiava mai con noialtri ragazzi. Era strano, in questo senso. Forse era questo che ci dava fastidio. Eppure, c'era lo stesso qualcosa che mi piaceva in lui. Mi sentivo come se avessi fatto una cosa molto, molto cattiva, eppure, in un altro senso, no. Più di tutto, avevo questa sensazione di vuoto, che aveva il suo centro nel mio stomaco. Camminai e camminai. Arrivai fino alla strada statale, e poi tornai indietro. Le scarpe mi facevano un gran male. I miei genitori mi compravano sempre delle scarpe da niente.
Parevano buone magari per una settimana o giù di lì, e poi il cuoio cominciava a creparsi e i chiodi cominciavano a venire fuori dalle suole. Continuai a camminare, comunque.
Quando tornai sul vialetto, era quasi sera. Camminai piano lungo il vialetto ed entrai nel giardino sul retro.
Simpson non c'era. E la corda era sparita. Magari era morto. Forse era da qualche altra parte. Mi guardai intorno.
C'era il viso di mio padre nella cornice della porta.
«Entra!» disse.
Io feci gli scalini della veranda e lo superai.
«Tua madre non è ancora tornata a casa. Per fortuna. Vai in camera tua. Voglio fare quattro chiacchiere con te.»
Entrai nella stanza e mi sedetti sull'orlo del letto e abbassai lo sguardo sulle mie scarpacce. Mio padre era grande e grosso, quasi un metro e novanta. Aveva un gran capoccione, con gli occhi appesi sotto ai sopraccigli a cespuglio. Aveva le labbra spesse e le orecchie grosse.
Era cattivo senza neanche farlo apposta.
«Dove sei stato?» chiese.
«Ho camminato.»
«Camminato. Perché?»
«Mi piace camminare.»
«E da quando?»
«Da oggi.»
Ci fu un lungo silenzio. Poi riprese a parlare lui.
«Che cosa è successo oggi nel nostro giardino?»
«è morto?»
«Chi?»
«Lo avevo avvertito di stare zitto. Se ha parlato, vuol dire che non è morto.»
«No, non è morto. E i suoi stavano per andare a chiamare la polizia. Ho dovuto stare a parlare con loro un sacco di tempo per convincerli a non farlo. Se avessero chiamato la polizia, tua madre ne sarebbe morta. Lo capisci, questo?»
Io non risposi.
«Questa cosa poteva far morire tua madre, lo capisci?»
Io non risposi.
«Mi è toccato dargli dei soldi per farli star buoni. In più, mi toccherà pagare tutti i conti dei medici. Adesso te ne do tante che te le ricorderai per tutta la vita! Ti faccio passare la voglia una volta per sempre! Non voglio allevare un figlio indegno di vivere in una società civile!»
Stava in piedi sulla soglia, senza muoversi. Io guardai i suoi occhi sotto i sopraccigli folti, quel corpo così grosso.
«Voglio la polizia,» dissi. «Non voglio te. Meglio la polizia.»
Lui si mosse lentamente verso di me.
«La polizia quelli come te non li capisce.»
Io mi alzai dal letto e serrai i pugni.
«Vieni,» dissi. «Facciamo a botte!»
Mi arrivò addosso di colpo. Ci fu un lampo di luce accecante e un colpo così forte che in realtà neppure lo sentii. Ero a terra. Mi tirai su.
«Ti conviene ammazzarmi,» dissi «perché quando sarò grande abbastanza ti ammazzerò io!»
Il colpo successivo mi fece rotolare sotto al letto. Come posto dove stare sembrava buono. Guardai le molle, e non avevo mai visto niente di più meraviglioso e pacifico di quelle molle là sopra. Poi scoppiai a ridere, era una risata di panico ma mi misi a ridere, e risi perché mi era venuta in mente l'idea che magari Simpson se l'era scopata davvero una ragazza sotto casa mia.
«Che cazzo ci trovi da ridere?» strillò mio padre. «Tu devi essere il figlio del demonio, non puoi essere figlio mio!»
Vidi arrivare la sua grossa mano sotto il letto, e cercava me. Quando mi arrivò vicino, l'afferrai con tutte e due le mani e la morsicai con tutta la forza che avevo. Ci fu un ululato feroce e la mano scomparve. Sentii l'umido e il sapore della carne in bocca, e sputai. In quel momento mi resi conto che mentre Simpson era vivo io fra poco avrei potuto benissimo esser morto.
«E va bene,» sentii dire piano a mio padre «vuol dire che te la sei proprio voluta, e per dio adesso l'avrai...»
Io attesi, e mentre aspettavo tutto quello che riuscivo a sentire erano dei suoni strani. Potevo sentire degli uccellini, potevo sentire il suono delle macchine che passavano, arrivavo a sentire anche il mio cuore che martellava in petto e il sangue che correva per tutto il mio corpo. Sentivo benissimo il respiro di mio padre, e mi spostai esattamente sotto il centro del letto e aspettai quello che stava per venire.

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